Domani notte (mercoledì mattina in Italia) molto probabilmente avremo qualche indicazione in più di quale mondo ci aspetta.
Infatti, a Philadelphia si terrà il secondo incontro tv tra i 2 candidati alle Presidenziali Usa del 5 novembre. Il 1° ben sappiamo come è andato a finire, condannando praticamente il Presidente Biden al ritiro per “manifesta inferiorità” (almeno persuasiva) e lanciando nella corsa la sua vice, Kamala Harris.
Negli ultimi sondaggi i 2 concorrenti vengono dati praticamente alla pari (48% Trump, 47% Harris): il margine di errore è, secondo gli esperti, intorno al 3%, per cui tutto è ancora da decidere, anche se l’ex Presidente è ritenuto leggermente favorito. Ma 2 mesi e mezzo possono essere molto lunghi e possono dire molte cose.
Indubbiamente una delle componenti più importanti, in grado di spostare i favori dell’elettorato, oltre alla sicurezza (il tema dei migranti è molto sentito anche negli USA), sarà la situazione economica.
Nelle ultime settimane le certezze sulla forza di quella economia si sono un po’ affievolite, lasciando spazio a più di un dubbio.
L’evidenza forse più importante arriva dal lavoro, come i dati resi noti venerdì hanno confermato (e che hanno “tagliato le gambe” ai listini americani ed europei, che hanno chiuso le contrattazioni di venerdì con cali piuttosto evidenti)).
Ad agosto negli USA sono stati creati 142.000 nuovi posti lavoro: in recupero rispetto al mese precedente, ma inferiori alle previsioni, che stimavano 158.000 nuove assunzioni. La disoccupazione scende di 1 decimale, scendendo dal 4,3 al 4,2%. Un dato solo apparentemente positivo, per 2 ragioni. La 1° è che il numero dei lavoratori part-time (e non solo per loro volontà) continua ad aumentare (è arrivato al 7,9%, massimo dall’ottobre 2021). La seconda è che, a fronte di un aumento nel settore della sanità, sono in diminuzione gli occupati nel settore manufatturiero (- 31.000 in un mese), a conferma che la “corporate America” tanto bene non sta.
Questa, anche se non l’unica, la più importante causa del recente nervosismo manifestato dai mercati.
La debolezza del mondo del lavoro, unita agli evidenti segnali di un’inflazione “rientrata nei ranghi”, sempre più vicina al “target” del 2% (anche se il cammino richiederà ancora tempo: probabilmente ci si arriverà verso la fine del prossimo anno), porterà (così ci dicono i mercati, che “scontano” già, in buona parte, nelle quotazioni la decisione) le Banche Centrali nei prossimi giorni (il 12 la BCE, il 17-18 la FED) al tanto atteso taglio dei tassi. Se lo 0,25% appare scontato in Europa (anche perché segue quello di giugno), negli USA potrebbe esserci qualche sorpresa, con Powell che potrebbe stupire, con un ribasso dello 0,50%. La scelta di “raddoppiare” probabilmente dipenderà anche da fattori “psicologici”: una riduzione così significativa potrebbe essere letta come la conferma che la situazione è più grave di quanto ritenuto sino ad oggi, per cui la reazione degli investitori, tornati a “guardare” i fondamentali economici come scritto sui testi di scuola (ad un’economia sana corrispondono mercati tonici, ad un’economia meno solida, con prospettive di maggior difficoltà, devono corrispondere quotazioni più realistiche), potrebbe essere ben più negativa,
Ma non è solo l’economia statunitense a sollevare qualche dubbio. Infatti, anche la seconda economia mondiale (cosa nota, peraltro) non se la “passa” molto bene, con molte banche d’affari e case di investimento che ritengono che l’obiettivo di crescita del 5%, se sarà difficile da raggiungere quest’anno, lo sarà ancora di più l’anno prossimo, spostando l’asticella verso il basso (4,5 se non addirittura 4%). Senza contare che, in caso di vittoria di Trump, l’introduzione dei dazi verso le importazioni dalla Cina (uno dei cavalli di battaglia della sua politica economica) potrebbe portare ad un’ulteriore diminuzione, addirittura dimezzando le previsioni per l’anno prossimo. Fattore che potrebbe ulteriormente appesantire i mercati di quell’area, che anche quest’anno non stanno regalando particolari soddisfazioni agli investitori. Una delusione appena attutita dal fatto che il “peso” dei listini “great China”, a livello globale, non supera il 5%. Mentre ben maggiore sarebbe l’impatto a livello economico, vista l’incidenza che la produzione cinese, in gran parte destinata all’esportazione, ha sugli scambi commerciali mondiali.
E, se vogliamo aggiungere l’ultima “ciliegina”, non dobbiamo dimenticare che anche la 3° economia mondiale non gode di ottima salute, se è vero che la Volkswagen, la più grande impresa tedesca, ha annunciato, proprio la settimana scorsa, l’intenzione di chiudere, per la prima volta nella sua storia, alcuni siti produttivi nel Paese.
Ricordiamoci, comunque, come detto più sopra, che siamo nell’anno delle Presidenziali USA, elemento che da sempre ha significato molto per i listini e i mercati globali (nessuno vuole presentarsi all’appuntamento di novembre dando ai cittadini statunitensi la “percezione” di trovarsi in una condizione di maggior povertà rispetto a qualche tempo fa), e che ovunque sono in atto politiche fiscali sempre espansive, come certificano i deficit pubblici, che continuano, in molti casi, a rimanere pericolosamente elevati (ben oltre il 4 e più per cento, quando il “livello di soglia”, almeno in Europa, dovrebbe attestarsi entro il 3%).
Apertura di settimana non semplice per i mercati asiatici, sulla falsariga delle chiusure americane ed europee di venerdì.
A Tokyo il Nikkei, pur recuperando la pesante apertura (– 3%), chiude in ribasso dello 0,7% (- 0,69%).
Ben più pesante, a Hong Kong, l’Hang Seng (- 2,10%).
Un po’ meglio va Shanghai, che limita, al momento, i danni al – 1,32%.
In calo il Taiex di Taiwan (- 1%), mentre Seul ha chiuso in calo dello 0,2%.
Sulla parità Mumbai.
Futures in rialzo (+ 0,4/0,5%), che lasciano pensare ad un tentativo di rimbalzo dei listini.
Recupera il petrolio, con il WTI che si riporta sopra i $ 68 (68,41, + 0,98%).
Gas naturale $ 2,204, – 3,30%.
Oro in ribasso, a $ 2.496, – 0,31%.
Spread a 138 bp.
BTP a 3,55%.
Bund a 2,17%.
Treasury, nei primi scambi asiatici, al 3,744%.
€/$ a 1,1068.
Cerca il recupero il bitcoin, che dai $ 53.000 del fine settimana risale a $ 55.105.
Ps: oggi celebriamo il trionfo di Sinner agli Open USA (lui lo celebra incassando il montepremi di $ 3.600.000). E anche il grande risultato alle Paralimpiadi, con l’Italia che ha vinto 71 medaglie. Ma, per rimanere allo sport, forse la notizia più sorprendente riguarda il ciclismo e la Slovenia. Infatti, ieri Primoz Roglic ha vinto (per la 4° volta) la Vuelta di Spagna, insieme al Tour de France e al Giro d’Italia, la più prestigiosa corsa a tappe del mondo. Quest’anno, quindi, tutte le più importanti corse a tappe sono state vinte da atleti di quel Paese (Pogacar Tour e Giro, Roglic Vuelta). Quanti abitanti ha la Slovenia? Circa 2ML: 2/3 di quelli abitano a Roma…